Zia Beata
Zia Beata raccontava che quando in prima elementare, dopo dieci giorni di lezione, forse neppure, signorina Giulia le aveva detto. “ Dille a mamma che venga a scuola, perché le devo parlare”: “Cosa vuole la maestra?” aveva chiesto la mamma alla bambina. “Non lo so, così mi ha detto e così ti dico” L’indomani mattina la mamma aveva accompagnato zia Beata a scuola.
“ Cosa mi comanda di fare, signorina Giulia?”
“Il comando è questo: tagliare i capelli alla bambina, perché la paura dei pidocchi è troppo grande, e lei sa che quelli vanno nelle teste di chi ha molti capelli…dunque”
“La bambina non ha pidocchi, anche se ha molti capelli” aveva precisato la mamma di zia Beata.
“Ne abbia o non ne abbia fa lo stesso; lei tagli i capelli alla bambina, diversamente prendo un paio di forbici e glieli taglio io…a zero”. “Dio la scampi e liberi dal fare simile cosa alla bambina, guardi che la sto avvertendo!” Basta…la questione era finita così. Zia Beata, senza che nessuno le avesse detto niente, aveva cambiato posto e si era seduta all’ultimo banco, cercando di farsi notare il meno possibile. La maestra non l’aveva ripresa più, però lei combinava poco o nulla, sempre mangiando pane abbrustolito e fave arrosto, nascosta nell’ultimo banco.
Un giorno il padre di zia Beata era tornato a casa lamentandosi, perché era tempo di seminare le fave e non trovava uno disposto a dargli una mano.
Era tempo di lavoro per tutti e ognuno a malapena riusciva a fare il suo, o quello del padrone.
“ Forse vediamo come se la cava la bambina” aveva detto il padre di zia Beata.
“Per quello che sta combinando a scuola!” Gli aveva risposto la moglie.
Stava arrivando l’inverno e zia Beata all’alba era già in campagna; batteva forte i piedi nella terra coperta di brina; con le sue scarpe sarde suolate di chiodi infrangeva le pozzanghere di ghiaccio. Tremava, povera creatura. Freddo così non ne aveva avuto mai. Il padre ogni tanto le accendeva un fuocherello per farla scaldare; però bisognava andare avanti con il lavoro.
E dalle fave alle lenticchie, dalle lenticchie ai ceci, dai ceci al grano…così era finito per zia Beata il tempo di andare a scuola. E anche quello di giocare. Aveva solo otto anni.