La macellazione del maiale
Zio Antonino Rubiu
Quando c’era da ammazzare il maiale, babbo faceva venire sempre zio Antonino Rubiu, che arrivava di buon mattino con una valigetta piena di coltelli di tutte le misure, che affilava in casa sua con un attrezzo apposito, composto da una ruota di pietra che girava azionata da un pedale.
Nel cortile intanto si predisponeva tutto l’occorrente, si legava il maiale e zio Antonino conficcava il coltello nella gola del maiale urlante, facendo sprizzare abbondante sangue che veniva raccolto in una conca, portato in cucina e mescolato con uva passa, mandorle macinate, scorza d’arancio. Con questo impasto si riempivano le budella più grosse formando dei salsicciotti, che venivano successivamente bolliti. Questo era il sanguinaccio.
Nel cortile intanto il lavoro continuava. Al maiale venivano tagliate le setole del dorso, conservate o regalate al ciabattino; le altre venivano bruciate, perché il maiale veniva coperto completamente di fieno e a questo si dava fuoco. Noi ragazzini ci mettevamo intorno aspettando il falò. La fiamma in quelle prime giornate di dicembre era particolarmente piacevole e aveva il magico potere di incantarci. Qualcuno rimuoveva la paglia bruciata, qualche altro ne aggiungeva. Dopo qualche minuto si sentiva l’odore caratteristico della pelle bruciacchiata. Ormai nessuno più si ricordava dello strazio di pochi minuti prima. Il maiale veniva adagiato sopra un tavolo di legno, lavato, spazzolato e levigato con una pietra pomice. A quel punto, zio Antonino con un coltello affilatissimo tagliava l’orecchietta del maiale e facendo minuscole porzioni ne faceva assaggiare un pezzetto a tutti.
Ad ogni attività che si svolgeva era legato un certo modo di rapportarci con gli altri, di dialogare, di farci vicini. E c’erano storie che si raccontavano in un’occasione e c’erano storie che si raccontavano in altre.
E zio Antonino, mentre ci faceva assaggiare l’orecchietta raccontava della volta che Luigi Serra l’aveva invitato a casa sua per aiutarlo ad ammazzare il maiale.
Non avevano nemmeno fatto a tempo ad acchiapparlo quel povero maiale, che i figli di Luigi gli avevano già tagliato le orecchie. “Eh, ragazzi…così non si fa! Guardate che il maiale non è ancora morto!” diceva zio Antonino sbigottito. Ma ormai il guaio era fatto e il maiale lo ammazzano senza orecchie. Quando lo stavano coprendo di paglia, gli avevano tagliato la coda. Quando gli tolgono la paglia bruciata era già scotennato. Per farla breve, quand’era ora di portare dentro il maiale c’era poco o niente. E così si decide di fare un fuoco nel cortile e arrostiscono quelle due o tre costole che sono rimaste e la festa del maiale finisce in mattinata, verso le undici.
E intanto il nostro maiale, a furia di essere lavato, spazzolato e levigato era diventato di un colore giallo-ocra. A quel punto si passava allo squarto per levare le interiora e poi si procedeva alla divisione dei vari pezzi che venivano portati in una stanza dove si preparava l’affettato, il lardo da conservare e quello per lo strutto.
La sera mamma provvedeva a preparare “is mandadas” che consistevano in porzioni d’assaggio da offrire ai vicini: un pezzo di carne, uno di fegato, uno di lardo. Sistemava il tutto dentro un piatto fondo da cucina, lo avvolgeva con un tovagliolo bianco e ci mandava a portarli. In quell’occasione noi bambini procuravamo tanti soldi.