Dialoghi al mattino di babbo e mamma
Quando mi svegliavo la mattina, babbo e mamma stavano già parlando. Erano quelli gli unici momenti del giorno in cui potevano discutere fra loro, soli.
Parlavano di tutto: del tempo, delle annate, di affari, di provviste, di pranzi e di cene.
Mamma lo rimproverava sempre a babbo: gli diceva che stava allungando il piede più del lenzuolo con tutti i debiti che stava affastellando. Che era peggio del padrino di Furtei, che di sopranome gli avevano messo “Fai contus” perché aveva un blocchettino sempre in tasca e ogni tanto lo tirava fuori e scriveva: incasso grano…tanto; incasso mandorle…tanto; incasso vino…tanto; e tanto questo e tanto quello, sta di fatto che l’incasso rimaneva scritto nel blocchetto e la moglie in casa non aveva soldi manco per farsi la croce. Così stava facendo babbo, che stava tagliando in lungo e in largo quando stoffa non ce n’era.
Meno male che mamma era riuscita a gestirsi da sola portando in bottega cesti pieni di uova quasi tutti i giorni e anziché darne lei soldi alla bottegaia ne riceveva, per pareggiare i conti. E meno male che sugli incassi di babbo faceva poco affidamento, visto che lui li investiva prima ancora di riceverli.
Babbo, senza contraddirla, le rispondeva che il nostro destino era quello, che bisognava comprare quelle frazioncine di terreno, prima che si facesse avanti quello scavezzacollo di confinante che gli si metteva sempre di traverso, perché era dispettoso, peggio della cattiva annata. Di sicuro al momento di mietere anche quell’anno avrebbe detto che il suo grano non era ancora pronto e mezzi non ne avrebbe fatto passare per giungere al nostro campo. E poco gliene sarebbe importato dei fuochi che ogni anno divampavano in tutta la campagna, tanto il suo obiettivo era quello di impastoiare e tagliar le gambe alla gente, non di portare grano a casa sua.
Al tempo di arare, usciva fuori dal seminato e avanzava nel nostro campo aumentando la sua proprietà a scapito della nostra e bisognava chiamare un geometra ogni tanto per ridefinire i confini e farlo retrocedere di un paio di metri. Questo succedeva perché il confine era da una parte sola. Figuriamoci se avesse comprato lui quelle frazioncine in vendita. Come minimo ci avrebbe fagocitato del tutto, come aveva fatto con quel miserabile di cognato, che lo aveva stretto come in una morsa da una parte e dall’altra e quando si era lamentato gli aveva dato pure una sussa.
Mamma rifletteva un po’, poi diceva che qualche soldo ce l’aveva anche lei messo da parte, che aveva venduto lo zafferano…se quei soldi li voleva, diceva a babbo. Babbo si mostrava risentito nei confronti di mamma, perché lo aveva paragonato a quel rimbambito del padrino di Furtei, che di sopranome gli avevano messo”Fai Contus”. E sugli incassi di mamma lui non ci metteva mano. Quando se lo poteva permettere babbo era un signore…orgoglioso soprattutto.
Babbo e mamma gli incassi se li dividevano così: babbo prendeva i soldi del grano, delle mandorle, del latte che si vendeva nel caseificio e dell’olio che si vendeva in grosse partite; mamma teneva per lei i soldi dello zafferano, del formaggio, del latte e dell’olio che si vendeva in casa.
Babbo pagava gli operai e i debiti, mentre mamma pensava al vestiario di tutti e alla roba da mangiare. Che non era poca cosa.
Dunque babbo i soldi dello zafferano non li voleva.
Mamma allora si faceva seria e chiedeva a babbo cosa voleva a pranzo per il giorno.
Babbo le rispondeva di tirare il collo a quel galletto bianco con la cresta grossa, perché oramai lo aveva preso di mira e lo pizzicava tutte le volte che lo vedeva. Anche il giorno prima gli era saltato addosso come una furia e gli aveva fatto un buco nel cappello e nella testa. Mamma gli rispondeva che lo avrebbe fatto senza ombra di dubbio, di stare pure tranquillo che non lo avrebbe pizzicato più e poi, seguendo la tattica di babbo, finiva anche lei per prendersela con il maiale, che bisognava ammazzare anche quello, che aveva preso l’abbrivo a mangiarsi le galline; lei se n’era accorta perché aveva visto penne sparpagliate dappertutto nella cella. Di sicuro questo succedeva quando le galline si appollaiavano tranquille nel muretto e il maiale le coglieva nel sonno e quelle manco se ne accorgevano.
Uh – diceva babbo – Cussu, cussu est cichendidda, lassa infriscai su tempus e bisi ita ddi suzzedidi a cussu”
Finalmente si erano trovati d’accordo; ricomponevano così i loro screzi, decidendo di far la pelle a quelle povere bestie. Babbo allora si alzava e andava a preparare il caffè; lui lo beveva in cucina, poi ne portava una tazzina a mamma.
Prima di entrare in camera si tratteneva nell’andito un momentino…per sorbirne un po’, per vedere se aveva messo lo zucchero.
Parlavano di tutto: del tempo, delle annate, di affari, di provviste, di pranzi e di cene.
Mamma lo rimproverava sempre a babbo: gli diceva che stava allungando il piede più del lenzuolo con tutti i debiti che stava affastellando. Che era peggio del padrino di Furtei, che di sopranome gli avevano messo “Fai contus” perché aveva un blocchettino sempre in tasca e ogni tanto lo tirava fuori e scriveva: incasso grano…tanto; incasso mandorle…tanto; incasso vino…tanto; e tanto questo e tanto quello, sta di fatto che l’incasso rimaneva scritto nel blocchetto e la moglie in casa non aveva soldi manco per farsi la croce. Così stava facendo babbo, che stava tagliando in lungo e in largo quando stoffa non ce n’era.
Meno male che mamma era riuscita a gestirsi da sola portando in bottega cesti pieni di uova quasi tutti i giorni e anziché darne lei soldi alla bottegaia ne riceveva, per pareggiare i conti. E meno male che sugli incassi di babbo faceva poco affidamento, visto che lui li investiva prima ancora di riceverli.
Babbo, senza contraddirla, le rispondeva che il nostro destino era quello, che bisognava comprare quelle frazioncine di terreno, prima che si facesse avanti quello scavezzacollo di confinante che gli si metteva sempre di traverso, perché era dispettoso, peggio della cattiva annata. Di sicuro al momento di mietere anche quell’anno avrebbe detto che il suo grano non era ancora pronto e mezzi non ne avrebbe fatto passare per giungere al nostro campo. E poco gliene sarebbe importato dei fuochi che ogni anno divampavano in tutta la campagna, tanto il suo obiettivo era quello di impastoiare e tagliar le gambe alla gente, non di portare grano a casa sua.
Al tempo di arare, usciva fuori dal seminato e avanzava nel nostro campo aumentando la sua proprietà a scapito della nostra e bisognava chiamare un geometra ogni tanto per ridefinire i confini e farlo retrocedere di un paio di metri. Questo succedeva perché il confine era da una parte sola. Figuriamoci se avesse comprato lui quelle frazioncine in vendita. Come minimo ci avrebbe fagocitato del tutto, come aveva fatto con quel miserabile di cognato, che lo aveva stretto come in una morsa da una parte e dall’altra e quando si era lamentato gli aveva dato pure una sussa.
Mamma rifletteva un po’, poi diceva che qualche soldo ce l’aveva anche lei messo da parte, che aveva venduto lo zafferano…se quei soldi li voleva, diceva a babbo. Babbo si mostrava risentito nei confronti di mamma, perché lo aveva paragonato a quel rimbambito del padrino di Furtei, che di sopranome gli avevano messo”Fai Contus”. E sugli incassi di mamma lui non ci metteva mano. Quando se lo poteva permettere babbo era un signore…orgoglioso soprattutto.
Babbo e mamma gli incassi se li dividevano così: babbo prendeva i soldi del grano, delle mandorle, del latte che si vendeva nel caseificio e dell’olio che si vendeva in grosse partite; mamma teneva per lei i soldi dello zafferano, del formaggio, del latte e dell’olio che si vendeva in casa.
Babbo pagava gli operai e i debiti, mentre mamma pensava al vestiario di tutti e alla roba da mangiare. Che non era poca cosa.
Dunque babbo i soldi dello zafferano non li voleva.
Mamma allora si faceva seria e chiedeva a babbo cosa voleva a pranzo per il giorno.
Babbo le rispondeva di tirare il collo a quel galletto bianco con la cresta grossa, perché oramai lo aveva preso di mira e lo pizzicava tutte le volte che lo vedeva. Anche il giorno prima gli era saltato addosso come una furia e gli aveva fatto un buco nel cappello e nella testa. Mamma gli rispondeva che lo avrebbe fatto senza ombra di dubbio, di stare pure tranquillo che non lo avrebbe pizzicato più e poi, seguendo la tattica di babbo, finiva anche lei per prendersela con il maiale, che bisognava ammazzare anche quello, che aveva preso l’abbrivo a mangiarsi le galline; lei se n’era accorta perché aveva visto penne sparpagliate dappertutto nella cella. Di sicuro questo succedeva quando le galline si appollaiavano tranquille nel muretto e il maiale le coglieva nel sonno e quelle manco se ne accorgevano.
Uh – diceva babbo – Cussu, cussu est cichendidda, lassa infriscai su tempus e bisi ita ddi suzzedidi a cussu”
Finalmente si erano trovati d’accordo; ricomponevano così i loro screzi, decidendo di far la pelle a quelle povere bestie. Babbo allora si alzava e andava a preparare il caffè; lui lo beveva in cucina, poi ne portava una tazzina a mamma.
Prima di entrare in camera si tratteneva nell’andito un momentino…per sorbirne un po’, per vedere se aveva messo lo zucchero.